A Matter of Life and Death

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Nel 1946 la Seconda Guerra Mondiale era da poco finita eppure i registi Michael Powell e Emeric Pressburger, inglese il primo e ungherese il secondo, l'avevano già raccontata in alcuni film girati durante il conflitto.
Film realizzati a caldo, per così dire, ma con la solita grande lucidità che è tipica delle loro opere. In Volo senza ritorno (One of Our Aircraft is Missing, 1942, disponibile su youtube a questo link) la Seconda Guerra Mondiale è raccontata attraverso le vicende dell'equipaggio di un bombardiere inglese, costretto ad atterrare in territorio olandese dopo aver subìto un attacco da parte delle contraeree tedesche. Un anno prima i due registi avevano diretto un giovane Laurence Olivier, in un ruolo secondario, in un altro film bellico e antimilitarista, lo straordinario Gli invasori - 49° parallelo (49th Parallel,1941), memorabile per numerose ragioni, non ultima l'insolita scelta di raccontare l'intera vicenda dal punto di vista dei "cattivi". Come non citare, infine, uno dei massimi capolavori firmati Powell-Pressburger, ovvero Duello a Berlino (The Life and Death of Colonel Blimp, 1943), girato anch'esso durante la guerra.

Nel 1946 Powell e Pressburger realizzano
Scala al paradiso (A Matter of Life and Death, 1946), film atipico già nella sua ideazione, se è vero che il progetto nasce per volontà del governo britannico con l'intento di migliorare i delicati rapporti tra Stati Uniti e Regno Unito. Difficile classificare A Matter of Life and Death all'interno di un genere cinematografico. Certamente l'incipit, straordinario, appartiene al genere bellico: il soldato inglese Peter Carter, interpretato da David Niven, è alla guida di un aereo da guerra che sta per schiantarsi al suolo quando entra in contatto con una radio-operatrice americana di nome June, interpretata da Kim Hunter. Il dialogo a distanza tra i due è brillante, ricco di suspense e commozione, in equilibrio tra realismo e fantasia e rappresenta una perfetta summa del cinema di Powell e Pressburger. Non è dato sapere se il soldato Peter Carter sopravviverà o meno all'incidente aereo: per una strana coincidenza, infatti, il giorno dell'incidente Peter resterà sospeso tra la vita e la morte, tra il mondo terreno e quello dei cieli.

Il cinema di Powell e Pressburger è il cinema del dubbio, non della verità. Come tutti i grandi registi, i due non offrono risposte allo spettatore ma, al contrario, interrogativi sempre nuovi. Da sempre pronti a scalfire le presunte certezze della società in cui hanno vissuto, Powell e Pressburger coi loro film ribelli hanno sfidato l'opinione comune, ribaltato le prospettive e considerato nuovi punti di vista per far emergere i mille dubbi dell’esistenza. Un approccio che, nel caso specifico di
Scala al paradiso, viene adottato per indagare i concetti di spazio e tempo con una forza e una lucidità rare, paragonabili solo ai maggiori film di fantascienza (da 2001 Odissea nello spazio a Solaris). Nel film, i morti hanno abbandonato il pianeta Terra e vivono in un mondo lontano appartenente ad un'altra galassia. Ciononostante uno di loro, Conductor 71, un francese che morì ghigliottinato durante la Rivoluzione francese, torna in via eccezionale sulla Terra per mettersi in contatto col soldato Peter. Quando ciò accade, il tempo terrestre si arresta e gli uomini rimangono immobili: in questa bolla spazio-temporale solo i morti possono muoversi indisturbati. L'effetto è reso in modo molto efficace attraverso un fermo immagine, espediente avanguardista che, pur nella sua semplicità, sembra anticipare alcune provocazioni estetiche di certo cinema europeo successivo (si pensi, per esempio, al lavoro sull'immagine e alle sovrimpressioni del cinema di Godard).

È solo uno dei numerosi trucchi cinematografici di un film sorprendente anche dal punto di vista estetico, a cominciare dalla fotografia che alterna un intenso
technicolor, utilizzato per le scene ambientate nel mondo reale, ad un bianco e nero molto più sfumato che vira sui toni del grigio, usato per immortalare il mondo dopo la morte. Una scelta estetica insolita che ribalta l'immaginario collettivo di un aldilà dai mille colori e che conferma la profonda vitalità tipica del cinema dei due registi. In una delle frasi più memorabili del film, il personaggio francese Conductor 71, appena sbarcato sulla Terra, afferma: "Quaggiù c'è da restare meravigliati per il Technicolor!". L'impressionante impatto estetico del film è dato anche dall'originale scenografia modernista e, in particolare, dall'impressionante scala mobile che collega la Terra col mondo dei morti. Voluta dai due registi e costata all'epoca tremila sterline, la scala fu costruita nell'arco di tre mesi e venne provvista di un sistema meccanico piuttosto complesso.

Il film è sorretto da una scrittura lucida e intelligente, intrisa di dialoghi al fulmicotone entrati di diritto nella storia del cinema inglese, come quello con cui il francese Conductor 71 si rivolge a Peter mentre sta baciando la giovane June, momentaneamente priva di sensi: "Ah, questi inglesi! Che piacere possono trovare nel baciare una ragazza che non può sentire alcunché?”.

Alla fine del film ciò che resta impresso è il grande attaccamento alla vita dei personaggi, la loro voglia di restare in questo mondo, quello a colori. Una grande vitalità solo velata dalla malinconia del tempo che passa e che non può essere fermato se non al cinema, magari con un fermo immagine. Perché, come dice un personaggio del film: "After all, what is time? A mere tyranny".
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