Ad Astra

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©20thCenturyFox

Presentato in anteprima mondiale alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia e distribuito nelle sale italiane a partire da giovedì 26 settembre, Ad Astra è il settimo lungometraggio del regista americano James Gray.
Racconta la storia di Roy McBride, interpretato da Brad Pitt, esperto astronauta alle prese con una missione segreta che lo porterà fino a Nettuno sulle tracce del padre, anch’egli astronauta, scomparso molti anni prima e dato per disperso. Sceneggiato dallo stesso James Gray e da Ethan Gross, Ad Astra è un film dalla straordinaria forza visiva e sonora, interpretato magistralmente da Brad Pitt che offre qui una delle migliori interpretazioni della carriera.

Il tema dei conflitti familiari è da sempre al centro del cinema di Gray che qui decide di trattare l’argomento in modo nuovo, con una serie di sequenze introspettive e intimiste nelle quali il protagonista, anche attraverso la voce fuori campo dello stesso Pitt, riflette sulla figura paterna, sulla solitudine della sua condizione e sui dubbi legati alla missione. Il film alterna questi momenti a sequenze molto più dinamiche e di grande
suspence, nelle quali la spettacolare fotografia e l’estrema complessità dell’impianto sonoro si fondono in un montaggio adrenalinico che lascia senza fiato. Ne è un esempio la spettacolare scena iniziale in cui McBride, al lavoro su una piattaforma spaziale, viene colpito da una serie di esplosioni originate da misteriosi “picchi di energia” di origine cosmica.

Dal punto di vista estetico, il film è estremamente suggestivo. Grazie all’aiuto di Hoyte Van Hoytema, già direttore della fotografia di film quali
Interstellar e Dunkirk, Gray riesce a trasferire sullo schermo il buio assoluto che avvolge gli astronauti nello spazio, costruendo immagini di sorprendente profondità. Come ha dichiarato lo stesso Gray in occasione della conferenza stampa alla Mostra di Venezia (link alla conferenza stampa), per l’estetica del suo film si è ispirato ad alcuni documentari ambientati nello spazio e in particolare a For All Mankind (1989) di Al Reinert, che utilizza immagini originali che la NASA raccolse durante le missioni Apollo per mostrare lo spazio e la Terra visti dalla Luna.

Se da un lato si nota la volontà del regista di mostrare il buio profondo che regna nello spazio, dall’altro
Ad Astra resta paradossalmente impresso nella memoria come un film dai molti colori. Ciascuna delle principali location del film è fortemente caratterizzata dal punto di vista cromatico. Per esempio la sequenza ambientata sulla Luna, prima tappa della missione di McBride, è associata al bianco e al nero. Una scelta cromatica che trova il suo apice nella bellissima sequenza dell’inseguimento, quando McBride e il collega Thomas Pruitt, inseguiti da un gruppo di pirati dello spazio, tentano disperatamente di raggiungere la metà buia della Luna. Il colore rosso invece è associato a Marte ed è il colore utilizzato nella suggestiva sequenza in cui McBride attraversa il lago sotterraneo per raggiungere in segreto la navicella spaziale, pochi istanti prima del decollo.

Ad Astra è anche un film di primi piani ai quali Brad Pitt presta il suo volto intenso. Sarebbe troppo facile e certamente sbagliato giudicare poco espressiva la sua interpretazione. Si tratta al contrario di una prova attoriale sottile, minimalista, che lui stesso ha definito tra le più difficili di tutta la sua carriera, giocata su impercettibili cambi di espressione e sull’intensità dello sguardo. Come ha dichiarato l’attore in alcune recenti interviste, il film è anche la storia di un uomo che vede crollare le proprie certezze e che affronta per la prima volta le proprie fragilità, tenute nascoste da una maschera fredda e imperscrutabile. Pitt riesce ad esprimere in modo molto credibile l’evoluzione del suo personaggio, sottolineandone all’inizio la sicurezza dei gesti e delle parole, per rivelarne infine la fragilità e la paura dei sentimenti.
Il film è un
one man show di Brad Pitt e agli altri attori, Donald Sutherland e Liv Tyler in particolare, spettano ruoli secondari. Spiccano però le interpretazioni di Tommy Lee Jones e soprattutto di Ruth Negga nel ruolo Helen Lantose, la direttrice della struttura su Marte. Con poche inquadrature a disposizione, Negga riesce a trasmettere tutta l’umanità del suo personaggio che scioglie per un attimo la durezza glaciale e quasi eastwoodiana di McBride, aiutandolo a portare a termine la sua missione.

Con
Ad Astra, viaggio conradiano verso l’ignoto e dentro sé stessi, alla ricerca di una figura mitica e folle allo stesso tempo, James Gray rende l’ennesimo omaggio al cinema dei suoi padri cinematografici, i registi della New Hollywood. Un’ammirazione sconfinata la sua, che sfocia a tratti nell’ossessione - non c’è film di James Gray che, in un modo o nell’altro, non richiami il cinema di Coppola – e soprattutto in un senso di inferiorità dovuto principalmente alla difficoltà - così la definisce il regista nella recente intervista a Libération – di portare la propria vita sullo schermo. Secondo James Gray infatti, ed è questa una teoria molto interessante, la forza del grande cinema americano degli anni ’70 risiede nella assoluta onestà dei sui autori, ovvero nella loro straordinaria capacità di mettere la tecnica cinematografica al servizio di storie molto personali, autobiografiche, per rappresentare su grande schermo le emozioni della vita reale. Gray cita al riguardo alcuni film di Coppola e di Scorsese. In questo senso, il viaggio di McBride in Ad Astra può essere letto come una potente metafora cinefila e autobiografica che vede James Gray inseguire con grande tenacia, passione e non senza nostalgia il cinema dei suoi maestri, proprio come il protagonista del suo film che vaga nello spazio, alla ricerca di un padre mitico e irraggiungibile.
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