Detroit

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©eaglepictures

Uscito in Italia lo scorso 26 novembre, Detroit è il film della regista statunitense Kathryn Bigelow che racconta il massacro del motel Algiers, un fatto di cronaca realmente accaduto a Detroit nel 1967 quando, durante gli scontri tra la polizia e la comunità nera in rivolta, alcuni poliziotti torturarono e uccisero alcuni giovani afroamericani.
Detroit è un film spettacolare dal punto di vista estetico e molto coinvolgente sul piano narrativo. Nonostante una bella partenza, spettacolare la ricostruzione d'epoca, e una parte centrale molto potente, il film si perde nel finale, anche a causa di una sceneggiatura che non riesce ad approfondire adeguatamente tutti i personaggi che appaiono a tratti stereotipati.

Fotografato alla grande da Barry Ackroyd, già collaboratore di Bigelow nel film
The Hurt Locker (2008), Detroit ricostruisce con grande abilità lo scenario bellico di quei giorni. Le immagini notturne della città avvolta nelle fiamme non si dimenticano facilmente e, se non fosse per l'estremo realismo della messa in scena, potrebbero far pensare a certi celebri scenari apocalittici del cinema americano (da Escape from New York a The Warriors). Altrettanto affascinante è la ricostruzione scenografica del motel Algiers, con le luci al neon e la piscina illuminata, immortalata nell'unico momento di distensione vissuto dai protagonisti, qualche istante prima che incombi la tragedia.

Come sempre nei film della regista, le sequenze d'azione sono girate con grande maestria. Recuperando una tecnica già usata in altri film precedenti, tra cui
Zero Dark Thirty e The Hurt Locker, Bigelow utilizza la camera a mano, filma con più macchine da presa contemporaneamente e cerca di ampliare lo spazio filmato, aumentando la libertà di movimento degli attori. Il ritmo altissimo è garantito da un montaggio frenetico, com'è nello stile della regista, con molti primi piani a svelare, per un istante, le espressioni dei protagonisti.

Come in altre opere precedenti, il cinema di Kathryn Bigelow risulta meno convincente nei momenti in cui tenta una lettura sociale della vicenda, come nella sequenza del processo o nel finale che ci mostra il declino di Larry, così come risulta problematico quando tenta di approfondire l'aspetto psicologico dei personaggi. Su quest’ultimo aspetto la regista non è ben supportata da una sceneggiatura che tratteggia figure poco sfaccettate, quasi caricaturali, ancorché in parte ispirate ai veri protagonisti. Nonostante il giovanissimo Will Poulter (24 anni) interpreti il diabolico poliziotto Krauss con grande convinzione e con la giusta antipatia, il suo personaggio è costruito in modo troppo schematico, la sua stupida cattiveria è mostrata da subito, fin dal suo ingresso in scena, senza che vi sia un’ulteriore evoluzione durante il film. Sul fronte opposto, quello delle vittime, la parabola di Larry, da grande promessa musicale a talento sprecato perché sconvolto da quanto accaduto, è raccontata con uno stile che a tratti sfocia nella retorica. Il suo incontro con il poliziotto "buono" che lo soccorre all'uscita del motel dicendo (citiamo a memoria il doppiaggio italiano):
Quale essere umano può averti fatto una cosa simile? oltre che rappresentare una fase poco credibile, vista l'atmosfera che regnava in quei giorni a Detroit, suona come un goffo escamotage per bilanciare la massiccia presenza di personaggi bianchi negativi apparsi fino a quel momento.

D’altronde Kathryn Bigelow non è mai stata una regista particolarmente attenta al
politically correct e il suo non è certo un cinema di sfumature né di compromessi. Forse è proprio per questo motivo che Detroit funziona solo in parte. Come se fosse limitato dalla forte tematica sociale che lo sottende, il film non ha la straordinaria compattezza di altre opere della regista. Quelli erano film da vedere tutti d’un fiato che non avevano altra ambizione se non quella di raccontare storie oltre i limiti e di farlo con un senso del ritmo con pochi eguali. Caratteristiche che in Detroit, purtroppo, emergono solo a tratti.
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