In grazia di Dio

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In grazia di Dio è il nuovo film di Edoardo Winspeare, distribuito da Good Films a partire dal 27 marzo. Racconta la storia di una famiglia del Salento costretta a chiudere l'attività tessile a causa dei debiti insormontabili. La madre Salvatrice, assieme alle figlie Adele e Maria Concetta e alla nipote Ina, si trasferisce nell'oliveto di famiglia, sul mare, in un casolare privo di luce elettrica e completamente da risistemare.
Sarà l'inizio di una nuova vita per tutti i membri della famiglia, tra nuovi incontri e difficoltà economiche che sembrano non finire mai.

Edorardo Winspeare, qui anche co-sceneggiatore, racconta ancora una volta una storia della sua terra (nonostante le nobili origini inglesi e austro-ungariche, il regista è cresciuto e vive ancora oggi nel Salento) con un approccio così raro e assieme tipico del suo cinema e che unisce la conoscenza profonda della società che racconta con uno sguardo che, se non distaccato, si può definire lucido, obiettivo, quello di chi ha vissuto nel mondo e poi è tornato a casa. Proprio questa dicotomia tra l'appartenenza dell'autore al mondo che descrive e allo stesso modo la sorpresa, curiosità, diversità con cui lo racconta, è l'elemento alla base del fascino magnetico di
In grazia di Dio.

Rifiutando qualsiasi approccio estetizzante, tipico invece di molti registi italiani che hanno filmato il Sud, il regista decide con coraggio di raccontare, di costruire una storia non facile che poteva nascondere il pericolo di eccessive semplificazioni o di personaggi al limite del cliché, tessendola invece di dialoghi e situazioni estremamente realistici e coinvolgenti. L'approccio narrativo è dunque prioritario tanto che Winspeare non ha paura di rappresentare sequenze molto difficili: il bacio scambiato nell'orto tra Salvatrice e Cosimo o quello non dato da Adele a Stefano sotto gli ulivi sono scene coraggiose e di grande equilibrio, che parlano di sentimento senza mai sfociare nel sentimentalismo.

Detto questo, non mancano nel film alcuni momenti contemplativi nei quali il regista si allontana per un'attimo dalla storia per soffermarsi, ad esempio, sul vento che dal mare soffia improvviso sul vigneto, scuotendo gli alberi e le vesti dei protagonisti. Si tratta di brevi e efficaci parentesi che avvolgono il film in un'atmosfera surreale, a tratti di pericolo imminente, un'aria di mistero che ben descrive questa terra, sottolineata anche dai piani sequenza che percorrono al rallentatore le impervie stradine sterrate, unico tramite tra l’oliveto e il resto del mondo.

I personaggi del film, anche quelli che appaiono solo in brevi inquadrature come il signore con cui Adele scambia uova in cambio di benzina, hanno una loro profonda umanità e vengono descritti in modo attento e mai superficiale. Sono figure complesse e dalle numerose sfaccettature, a cominciare da Adele, personaggio centrale attorno al quale ruota tutta la storia. Donna generosa ma rigida, spiritosa eppure estremamente severa, con se stessa prima che con gli altri, Adele avrebbe potuto essere diversa se il mondo in cui è cresciuta non ne avesse accentuato le durezze. Eppure il regista non punta ad un affresco fatto di buoni e cattivi, se è vero che nel suo film i primi non lo sono mai completamente, mentre i secondi hanno spesso la simpatia dalla loro parte. E così anche le sfuriate di Adele spesso risultano eccessive, la cattiveria con cui ingiuria la sorella Maria Concetta appare poco giustificata. Quest'ultima vive nel sogno di diventare attrice e passa il tempo a recitare poesie e testi teatrali. Più un sogno è lontano dalla realtà in cui si vive e più questo diventa forte, mitizzato. È il caso di Maria Concetta le cui speranze sembrano ad un tratto materializzarsi, quando riceve una telefonata di convocazione ad un provino per il prossimo film di Ozpetek. Le cose non andranno per il verso giusto e la sequenza in cui Maria Concetta lascia casa in bicicletta per tentare poi un disperato autostop verso Roma è di quelle che non si dimenticano, così delicatamente sospesa tra ilarità e commozione.

Lo sguardo del regista appare davvero severo solo con le nuove generazioni, rappresentate da Ina e dai suoi amici, ragazzi che sembrano vivere in un mondo sfasato, ormai occidentalizzato pur non avendo nulla di occidentale, adolescenti con pettinature improbabili che passano il tempo nella piazzetta del paese cercando di colpire con un sasso un palo della luce. Solo sfiorati dalle difficoltà e dalle ingiustizie del mondo in cui vivono, sono destinati ad accorgersi di esse nel modo peggiore e più traumatico, tutt'a un tratto, proprio come accade ad Ina, l'adolescente figlia di Adele.

Mentre la radio di un bar del paese racconta le difficoltà economiche dell'Italia intera, ormai paragonabili a quelle della Grecia, la famiglia di Adele compie una scelta radicale abbandonando la manifattura e tornando al lavoro agricolo. Un ritorno alla natura dunque, propedeutico e bene augurante eppure descritto con durezza e realismo, lontanissimo dalla moda
green tanto diffusa oggi. Il lavoro nei campi è duro, soffocante, incomprensibile alle nuove generazioni come mostrato nell'esilarante scena in cui Ina e Maria Concetta tentano senza successo di raccogliere il letame con un forcone. Eppure proprio dalla terra Adele e sua madre riescono a ricavare il nutrimento per vivere: in un mondo globalizzato in cui la globalizzazione è lontanissima, ai superstiti non resta che il baratto, così Adele scambia i prodotti della sua terra per altri generi alimentari o servizi. L'oliveto di famiglia non è certo l'El Dorado ma solo un modo per sentirsi vivi e per mai più sopravvivere, ritrovarsi infine uniti come nell'ultima inquadratura, nella quale il canto di Salvatrice accompagna il lento zoom all'indietro a rivelare l'immagine definitiva di una famiglia e della sua terra.
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